Dicono che mancano i soldi per le scuole, per le università, per gli ospedali, per i servizi pubblici. Per rilanciare l’economia, il governo vuole licenziare di più e allungare l’età pensionabile. Dicono che bisogna fare a meno dei diritti perché i soldi non ci sono, c’è la crisi e bisogna tirare la cinghia.
Ma per l’esercito, le guerre e gli strumenti di morte i soldi si trovano sempre.
Venti miliardi e mezzo di euro: a tanto ammonta il bilancio del Ministero della Difesa per l’anno 2011. Centonovantadue milioni di euro in più rispetto al 2010. In particolare, le missioni all’estero di quest’anno sono costate un miliardo e mezzo di euro. E per la guerra in Libia, che ha visto l’Italia in prima linea, si parla di almeno settecento milioni.
In tempi di crisi, tutto questo è semplicemente disgustoso.
Le istituzioni italiane si apprestano a festeggiare, ancora una volta, la ricorrenza del 4 novembre (la fine della mattanza della prima guerra mondiale) con la solita retorica patriottica e nazionalista. Saremo costretti a sorbirci le ipocrisie di una classe dirigente impresentabile e corrotta che straparlerà di missioni di pace, di valori forti, di unità nazionale.
Caserme aperte al pubblico, mezzi blindati per le strade, uomini in divisa che imbracceranno fucili e accarezzeranno bambini. Un lugubre palcoscenico allestito per nascondere la cruda realtà del militarismo, una realtà fatta di morte e distruzione.
Quanto sia feroce e criminale la guerra lo sanno bene in Afghanistan, Iraq, Somalia, Libano, Kosovo, Libia, e in tutti i teatri di conflitto che hanno visto il coinvolgimento delle forze armate italiane nell’interesse dei grandi gruppi economici e delle classi dominanti. Lo sanno bene le popolazioni civili costrette a vivere accanto a installazioni militari altamente nocive per l’ambiente e la salute. Lo sanno bene i familiari di chi è tornato a casa in una bara avvolta nel tricolore.
Qui al Sud, dove manca il lavoro e la crisi picchia duro, l’unica prospettiva concessa ai giovani è quella di arruolarsi e fare gli assassini di professione. La guerra è entrata nella normalità del vivere al punto che ci si è perfino abituati a vedere i soldati per le strade impiegati in servizi di “ordine pubblico”. La guerra viene combattuta giorno per giorno nelle nostre città, nei centri di detenzione per immigrati, nelle servitù militari che occupano i nostri territori, nell’autoritarismo dei rapporti sociali e nella repressione del dissenso.
E allora, in questo mondo orwelliano dove «la guerra è pace», «la libertà è schiavitù», e «l’ignoranza è forza», uno degli atti più rivoluzionari che si possano fare è dire le cose come stanno, rifiutando con forza e determinazione la propaganda del potere.
Gruppo Anarchico “Andrea Salsedo” – Trapani