La vicenda del Cantiere Navale di Trapani (CNT) dovrebbe essere nota, ormai.
Cinquantotto lavoratori sono in cassa integrazione da mesi, e l’unica prospettiva offerta dal padrone è il licenziamento.
È altrettanto noto che le motivazioni ufficiali addotte dall’azienda per giustificare la distruzione di questa realtà produttiva sono del tutto inconsistenti. La crisi del settore non ha mai messo a repentaglio l’esistenza del Cantiere Navale, tanto che le commesse non sono mai state un problema e il lavoro non è mai mancato.
Al contrario, i lavoratori hanno assistito a una gestione aziendale perdente, a un lassismo che ha mandato alla malora strumenti di lavoro e infrastrutture, a un’arroganza padronale senza precedenti.
Il risultato è che, allo stato attuale, il Cantiere Navale versa in condizioni disastrose dal punto di vista finanziario e l’azienda non sa proporre niente di meglio che la mobilità in attesa di tempi migliori. Probabilmente, i “tempi migliori” saranno quelli in cui il padrone potrà esternalizzare la produzione, assumendo a condizioni schiavistiche manodopera poco qualificata, massimizzando i profitti e abbattendo i costi.
Di fronte a tutto questo, il sindacalismo concertativo ha assunto atteggiamenti tristemente conosciuti, da decenni a questa parte, nelle vertenze di tutta Italia: massima apertura alle aspettative padronali, disciplinamento dei lavoratori, autoritarismo nei rapporti tra rappresentanti e rappresentati.
Quella del Cantiere Navale di Trapani poteva essere una storia come tante, con un finale già scritto. Invece, è successo qualcosa di inaspettato.
Dopo mesi di agitazione, trentasei lavoratori hanno rotto con i sindacati e hanno deciso di prendere le decisioni in prima persona. Hanno costituito un collettivo autorganizzato e hanno cominciato a discutere fra di loro, senza burocrati o professionisti della concertazione. Hanno piantato una tenda all’ingresso del cantiere navale costruendo un presidio permanente che dura da più di due mesi. A poco a poco hanno cominciato ad assaggiare il gusto della partecipazione, della solidarietà, del mutuo appoggio. Infine, quando il silenzio ostile delle istituzioni e delle “autorità competenti” si è fatto più assordante, i lavoratori hanno occupato una petroliera, costruita con le loro mani, ormeggiata da mesi al cantiere.
La nostra solidarietà – concreta e disinteressata – agli operai in lotta, fa parte del nostro codice genetico. Siamo anarchici e, in quanto tali, non possiamo che stare al fianco dei lavoratori, degli oppressi, di tutti coloro i quali subiscono un’ingiustizia. Allo stesso tempo, proprio perché anarchici, sentiamo l’esigenza di esprimere il nostro punto di vista e offrire le nostre proposte per cercare soluzioni praticabili.
Noi rispettiamo profondamente il desiderio di stabilità e sicurezza dei lavoratori del Cantiere Navale di Trapani e delle loro famiglie, specialmente in questi tempi di crisi. E non ci scandalizzeremmo se, tra gli stessi lavoratori, nascesse la comprensibile aspettativa di vedere il loro cantiere navale gestito da un soggetto imprenditoriale più capace, più trasparente o più corretto.
Tuttavia, noi non crediamo che ci siano padroni buoni. Al contrario, pensiamo che fino a quando esisterà il lavoro salariato, non ci sarà mai alcuna possibilità di vivere una vita degna di questo nome.
I licenziamenti, la chiusura delle fabbriche, le crisi economiche, sono tutti prodotti del sistema capitalistico e della logica del profitto. Non è possibile sperare di ottenere miglioramenti sostanziali restando nell’ambito di questo recinto angusto dove da una parte c’è chi lavora, e dall’altra c’è chi vive del lavoro altrui.
Questa analisi non può che rafforzare la nostra volontà di realizzare le aspirazioni per le quali lottiamo ogni giorno: l’abolizione della proprietà privata, l’abbattimento di tutti i poteri gerarchici, la costruzione del comunismo libertario.
Ma a dispetto dei nostri detrattori, noi anarchici abbiamo i piedi per terra, e sappiamo che, purtroppo, la rivoluzione sociale non è esattamente dietro l’angolo, tanto meno a Trapani.
Nonostante ciò, pensiamo che i problemi del Cantiere Navale possano comunque essere affrontati con un approccio radicalmente diverso.
Il cooperativismo, se correttamente applicato e ispirato ai suoi valori originari, è uno strumento efficace che permette di riequilibrare le forze in gioco in un sistema capitalistico. I lavoratori, piuttosto che lavorare per gonfiare il conto in banca di un padrone, autogestiscono la produzione superando l’assetto gerarchico dell’azienda per sostituirlo con rapporti di lavoro orizzontali, ispirati, sia per quanto concerne la forma sia per quanto riguarda la retribuzione, ai princìpi dell’uguaglianza e della solidarietà. Quotidianamente, in Italia e nel mondo, migliaia di lavoratori organizzati in cooperative dimostrano che un modo alternativo di intendere il lavoro – libero dai ricatti, dalla speculazione e dall’avidità – è possibile.
La recente storia della cantieristica italiana ci ha offerto esempi molto simili alla vertenza del CNT, risolti, dopo lunghe e logoranti lotte dei lavoratori, proprio con la costituzione di cooperative che, rigettando la logica del profitto a tutti i costi e in nome del mutuo appoggio, hanno permesso la revoca dei licenziamenti e la creazione di nuovi posti di lavoro.
Un esempio lampante, in tal senso, è quello degli operai dei Cantieri Navali “Megaride” di Napoli, i quali, dopo essere stati sfruttati per anni, in seguito alla gestione criminale dell’azienda, ricevettero un giorno la lettera di licenziamento.
Non si arresero e, dopo una lunga lotta – fatta di presidi permanenti e occupazioni – presentarono nei confronti dell’azienda un’istanza di fallimento che, una volta accettata dal giudice, gli diede la possibilità di rilevare il cantiere dopo essersi costituiti in cooperativa. Ancora oggi, i Cantieri “Megaride” sono una florida realtà produttiva.
Anche nel caso del Cantiere Navale di Trapani, l’ipotesi cooperativistica ci sembra una strada percorribile.
Siamo consapevoli che ogni scelta debba tenere conto del contesto in cui matura, e siamo altrettanto coscienti che ogni esperienza ha le sue peculiarità. Tuttavia, è possibile trarre validi spunti di riflessione a partire dal patrimonio di lotte e conquiste portate avanti da altre realtà in altri territori.
Evidentemente, la costituzione di una cooperativa non è una proposta rivoluzionaria.
Si tratta, piuttosto, di un primo passo in direzione di qualcosa di diverso dall’esistente.
E non ci pare poco.
Gruppo Anarchico “Andrea Salsedo” – Trapani
06/12/2011