Di questi tempi, parlare male delle istituzioni sembra quasi un inutile accanimento.
E se al centro della riflessione ci sono le Regioni, si rischia davvero di cadere nella banalità.
Ci basterebbe parlare della Regione Lazio, di Fiorito e dei festini pagati dai contribuenti. Ci basterebbe parlare della Regione Lombardia, di Formigoni e degli intrallazzi con la ‘Ndrangheta. Ci basterebbe parlare della corruzione che, da Nord a Sud, rimane la cifra costante della politica italiana.
E poi, rimanendo sul piano locale, non faremmo davvero fatica a elencare alcuni degli innumerevoli esempi di inefficienze, sprechi e privilegi che caratterizzano la classe dirigente siciliana. Per non parlare poi delle compenetrazioni strutturali tra politica e mafia; dell’insopportabile arroganza di chi occupa posti di governo e sottogoverno in Sicilia ottenuti anche grazie al clientelismo; degli effetti nefasti prodotti dall’Assemblea Regionale Siciliana sulla pelle di questa terra martoriata.
Adesso i siciliani sono chiamati alle urne per il rinnovo dell’Ars.
Tutti i candidati dicono di essere “perbene”. C’è chi promette di liberarci. Altri ancora promettono addirittura la rivoluzione. E ci sono persino quelli che fino a ieri mandavano ‘affanculo il sistema, e oggi chiedono il voto per il loro partito.
Tutti, però, sono inquieti. C’è qualcosa che gli agita il sonno. Sembra che i politicanti di ogni colore abbiano paura di una cosa soltanto: l’astensionismo.
I sondaggi più recenti hanno rilevato che quasi la metà degli elettori siciliani non andranno a votare e non si presteranno così al rituale, ipocrita e farsesco, delle elezioni regionali. Per correre ai ripari, i politici fanno appello al senso di responsabilità di ciascuno, mettendo in guardia dai pericoli della cosiddetta antipolitica, ricattando moralmente ogni elettore perché colpevole, in caso di astensione, di favorire inevitabilmente gli avversari. Quello che temono, in realtà, è la delegittimazione del loro ruolo e del loro potere.
Da anarchici, la cosa non può che farci piacere, ma dobbiamo essere chiari.
Se questo nutrito “partito dell’astensione” fosse animato da una volontà anche solo vagamente simile alla nostra, saremmo praticamente a un passo dalla rivoluzione sociale.
Purtroppo, non è così.
Come abbiamo avuto modo di ribadire in più occasioni, l’astensionismo al quale noi facciamo appello presuppone un radicale cambiamento nel modo di intendere l’azione politica: non più la delega alle istituzioni e ai loro “specialisti”, ma l’azione diretta da parte degli individui e delle comunità che si autogovernano.
Il nostro astensionismo è coerente con una critica radicale e intransigente a tutti i meccanismi di potere, i quali sono – di per sé – impossibili da riformare o migliorare “dall’interno”. In parole povere, se si decide di giocare al tavolo delle istituzioni, bisognerà accettarne le regole, l’ingiustizia, la disumanità.
Ecco perché, se davvero si vuole trasformare realmente la società in direzione dell’uguaglianza e della libertà, non bisogna più sedersi al tavolo delle istituzioni nel vano tentativo di giocare lealmente una partita già truccata.
Anche se l’astensionismo è un primo, importante passo, non ci si può fermare al pur comprensibile disgusto per le campagne elettorali e per i candidati che ci ossessionano con la loro invadenza e la loro retorica.
Bisogna fare qualcosa di più: discutere con chi ci sta accanto, nelle scuole, nei posti di lavoro, nei quartieri; confrontarci su cosa davvero serve per gestire le nostre vite senza chiedere niente a nessuno. E poi autorganizzarsi, cominciare a costruire spazi di libertà e di autonomia, dal basso e in maniera solidale.
Solo così l’astensionismo può caricarsi di un significato più profondo e duraturo, solo così non avremo più bisogno di politicanti, di burocrati, e delle loro insopportabili campagne elettorali.
Gruppo Anarchico “Andrea Salsedo” – Trapani