Riflessioni sulla guerra in Mali
L’11 gennaio il governo francese ha dato inizio a un’operazione militare in Mali. Ha dichiarato di intervenire per sostenere le unità maliane contro il terrorismo di matrice islamica che imperversa in quell’area e per difendere la popolazione dalle violenze. Qualche giorno dopo, il 14 e il 17, rispettivamente la Germania e l’Italia, attraverso i loro ministri degli esteri, hanno affermato di appoggiare l’attacco francese in Mali e di essere disponibili a offrire supporto logistico. In poche parole l’Europa è di nuovo in GUERRA. Esaminando più nel dettaglio la questione ci si rende conto dell’infondatezza delle motivazioni ufficiali e delle mille contraddizioni che inevitabilmente ne scaturiscono.
– È impossibile credere che sia stata l’emergenza umanitaria, causata dal colpo di stato in Mali, a spingere l’Europa a intraprendere questa nuova guerra. L’Africa è vessata, da decenni, da miriadi di focolai di violenza e nessuna potenza occidentale se ne è mai seriamente interessata. Si dirà che in Mali ad aggravare la situazione c’è l’emergenza “terrorismo islamico”. Perché, allora, non si è ingaggiata battaglia contro le milizie islamiche Boko Haram che stuprano, uccidono e torturano civili dal 2002 nel nord della Nigeria, o contro l’organizzazione Al-Shabaab, considerata ufficialmente una cellula di Al-Qaeda, che dal 2006 ad oggi si è macchiata di migliaia di omicidi nel sud della Somalia?
– Perché l’Europa non interviene in Siria o in Congo – paesi in cui la popolazione civile è sotto attacco da mesi e i morti ormai non si contano più (in Siria si stima siano più di 60 mila) – ed è invece intervenuta in Libia?
– Come mai i “disordini” in Mali sono cominciati all’indomani dell’uccisione di Gheddafi e proprio per mano dei Tuareg del Movimento Nazionale per la Liberazione dell’Azawad, un gruppo armato che innumerevoli fonti giornalistiche dicono essere stato finanziato e armato dal governo francese durante la guerra libica? Da sempre i separatisti Tuareg lottano per l’indipendenza della regione dell’Azawad, nel nord del paese, intrattenendo
rapporti costanti anche con Ansar Dine (milizia islamica costituita prevalentemente da Tuareg). È difficile credere che la Francia non sapesse a chi forniva soldi, armi e istruttori militari.
– Dobbiamo considerare questa “nuova” guerra come la prosecuzione naturale della campagna libica e renderci conto che, probabilmente, ci troviamo di fronte a una precisa strategia neo-coloniale di controllo politico del territorio, finalizzato allo sfruttamento delle risorse naturali e inquadrato in un’ottica di contrasto dell’avanzata dei capitali cinesi in Africa. La Cina, infatti, è il primo partner commerciale di Tanzania, Zambia, Congo ed Etiopia (dove il PIL cresce con una media del 5,2% l’anno, cifre impressionanti) e in molte zone vanta l’esclusiva sui diritti di estrazione delle risorse. Il prossimo futuro sarà contraddistinto da crisi energetiche e difficoltà di approvvigionamento di materie prime e non c’è da stupirsi che il capitalismo mondiale stia correndo ai ripari per garantirsi, con ogni mezzo, una parte del bottino. I governi sanno che la guerra è un mezzo impareggiabile per movimentare repentinamente capitali enormi e risollevare la produzione industriale (fiaccata dalla crisi economica) e per riorganizzare, in un sol colpo, equilibri politici ritenuti non più funzionali.
– È falso che la guerra sia l’extrema ratio in fatto di politica estera. Gli stati la utilizzano come e quando vogliono, e vi si preparano costantemente. L’Italia ne è un esempio: la Penisola è costellata di basi militari italiane e americane (le cosiddette servitù militari) che continuamente vengono ampliate e dotate di nuovi strumenti di morte, come si sta facendo a Niscemi (CL) con la costruzione del Mobile User Objective System (MUOS), un sistema di antenne ad alta frequenza per la comunicazione satellitare, altamente nocivo per la salute umana.
In Italia ogni giorno circa duemila persone perdono il lavoro, per un totale, entro la fine dell’anno, di più di quattro milioni di disoccupati, uomini e donne ai quali dobbiamo sommare l’enorme numero di cassaintegrati e precari.
Nonostante questo scenario catastrofico, il governo ha pensato bene di spendere 15 miliardi di euro (il costo di una legge finanziaria) per acquistare novanta cacciabombardieri F-35. Come se non bastasse, il ministero della difesa è l’unico ad aver ottenuto dal governo Monti un aumento delle dotazioni finanziarie (oltre un miliardo nei prossimi tre anni).
Anche Trapani ha toccato con mano gli effetti nefasti del vivere in un territorio militarizzato: l’aeroporto militare di Birgi è stato tra i più utilizzati durante la guerra in Libia e gli effetti sull’economia cittadina, a causa del blocco totale delle partenze degli aerei civili, sono stati devastanti. E non si può escludere che la base verrà utilizzata per le operazioni in Mali e che Trapani, suo malgrado, ridiverrà un teatro di guerra.
– Per nulla secondario è, inoltre, l’effetto del conflitto sulla vita politica interna. L’allarme costante per eventuali attacchi terroristici di rappresaglia e/o il moltiplicarsi in maniera esponenziale, a causa dei profughi, dell’immigrazione “clandestina” offrono solidi pretesti per restringere le già fittissime trame della legge e reprimere più “efficacemente” il dissenso interno, creando nuovi reati o inasprendo le pene per quelli già previsti.
L’assottigliamento dei diritti causato dal clima emergenziale permette alle forze politiche al governo di eludere il dibattito ed approcciarsi ai problemi sociali, politici e sindacali come fossero mere questioni di ordine pubblico.
La guerra è la quintessenza del capitalismo e finché esisterà il capitalismo esisterà la guerra.
Il capitalismo e lo stato sono da sempre alleati in una guerra senza fine contro ognuno di noi. Quando non possono usare né fucili né bombe, in tempo di pace, hanno armi altrettanto devastanti socialmente: il precariato, la disoccupazione, i licenziamenti, la cassa integrazione, i radar nocivi come il MUOS, le opere inutili e pericolose come il TAV o le fabbriche della morte come l’ILVA.
Non è economia. È violenza. È guerra.
Gruppo Anarchico “Andrea Salsedo” – Trapani