Segnaliamo volentieri questa iniziativa promossa dalla Federazione Anarchica Siciliana:
“Tempi di guerra. Dall’11 settembre 2001 ai giorni nostri”
Segnaliamo volentieri questa iniziativa promossa dalla Federazione Anarchica Siciliana:
“Tempi di guerra. Dall’11 settembre 2001 ai giorni nostri”
La storia ci insegna che, in un sistema capitalista, le crisi economiche sono le fasi storiche preferite dai padroni per attaccare i diritti che i lavoratori hanno conquistato con anni di lotte sociali. Lo stesso concetto di “crescita post-recessione” si basa su questo presupposto.
La manovra economica proposta dal governo per risanare il debito pubblico e – a detta loro – salvare l’Italia dal tracollo finanziario, ne è un esempio perfetto. A ben guardare, è difficile immaginare qualcosa di più aggressivo nei confronti dei lavoratori e, più in generale, dei non privilegiati.
Il governo vuole eliminare le agevolazioni fiscali per le famiglie e per gli studenti, vuole reintrodurre o maggiorare i ticket sanitari, abolire di fatto l’articolo 18, tagliare sulla sanità e sulla cultura, attaccare le pensioni, introdurre palliativi come il contributo di solidarietà (utile solo a fini propagandistici dato che interesserà solo chi le tasse le paga già), aumentare le imposte indirette, ritoccare per difetto le pensioni di reversibilità e d’invalidità effettuando tagli lineari pressoché su tutto.
E invece, potrebbero essere ben altri i titoli di spesa e le voci di bilancio su cui definire nuove imposte e operare tagli!
Non esiste momento più opportuno per sfoltire gli immensi privilegi di cui gode il Vaticano a spese della collettività: basti pensare che la Chiesa è esente dal pagamento dell’ICI sugli immobili, dell’IRES sul reddito delle società, dell’IRPEF sul reddito delle persone fisiche, dell’IRAP sulle attività produttive e, inoltre, sono previste fortissime detrazioni per quanto riguarda il pagamento dell’IVA.
Un quantitativo incalcolabile di denaro potrebbe essere ricavato dall’eliminazione delle spese militari: basta con le guerre camuffate da missioni di pace! Basta con i miliardi di euro spesi per acquistare inutili aerei tecnologicamente avanzati! Basta con le decine, le centinaia e le migliaia di costosissimi carri armati, sommergibili e mezzi corazzati a loro volta carichi di missili, siluri, mitragliatrici, e altre macchine di morte!
Come dimenticare, poi, che altri milioni di euro vengono spesi per costruire e mantenere quelle infami strutture che vanno sotto il nome di Centri di Identificazione ed Espulsione, veri e propri moderni campi di concentramento per immigrati!
Inoltre, con l’introduzione di imposte dirette progressive, che aumentano all’aumentare dell’imponibile (ovvero: più si possiede e guadagna e più tasse si pagano), la crisi la pagherebbero i ricchi, cioè coloro che meno ne subiscono gli effetti. L’imposta cosiddetta “patrimoniale” rientra in questa logica, e sarebbe senz’altro un provvedimento più sensato.
La battaglia contro questa manovra è importante, ma bisogna identificare con chiarezza i responsabili della crisi e di tutte le disuguaglianze che devastano l’Italia e il mondo: il capitalismo, gli stati e gli organismi internazionali che condizionano l’economia.
Finché non ci libereremo di questo sistema assassino che continuamente dà prova della sua inefficienza nel garantire dignità e benessere a tutti e a tutte, non potremo mai davvero costruire una società libera, giusta e solidale.
Oggi come ieri, le anarchiche e gli anarchici saranno sempre al fianco di chi lotta per un mondo libero dallo sfruttamento e dalla sopraffazione, in nome della solidarietà e dell’uguaglianza, attraverso l’autorganizzazione e l’azione diretta!
Gruppo Anarchico “Andrea Salsedo” – Trapani
«Mai, vivendo l’intera esistenza, avremmo potuto sperare di fare così tanto per la tolleranza, la giustizia, la mutua comprensione fra gli uomini».
(Bartolomeo Vanzetti, alla giuria che lo condannò alla pena di morte)
«Sì, Dante mio, essi potranno ben crocifiggere i nostri corpi come già fanno da sette anni: ma essi non potranno mai distruggere le nostre idee, che rimarranno ancora più belle per le future generazioni a venire».
(Nicola Sacco, al figlio Dante – 1927)
Il 23 agosto del 1927 morivano sulla sedia elettrica Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, anarchici. Furono condannati a morte nello stato del Massachusetts (USA) per un crimine che non avevano commesso.
Vogliamo ricordare la loro storia – che si è incrociata con quella di Andrea Salsedo – segnalando questa bella introduzione di Massimo Ortalli al volume Non piangete la mia morte, autobiografia, epistolario e autodifesa di Bartolomeo Vanzetti, recentemente pubblicato da Nova Delphi.
La sera di sabato 23 luglio i cittadini e i numerosi turisti che in questi giorni d’estate affollano il centro storico di Trapani, si sono imbattuti nel presidio antirazzista organizzato dal Coordinamento per la Pace e dal Gruppo Anarchico “Andrea Salsedo”: una grande gabbia allestita nella centralissima piazzetta Saturno che ha portato fisicamente, e in mezzo alla gente, il dolore e la sofferenza dei Centri di Identificazione ed Espulsione per immigrati.
Da dietro le “sbarre”, i manifestanti hanno parlato al megafono spiegando il senso dell’iniziativa, denunciando la vergogna dei CIE e la presenza di ben tre strutture di questo tipo nel territorio trapanese: il vecchio “Serraino Vulpitta”, la nuova grande struttura di contrada Milo, e la tendopoli di Kinisia. Gli anarchici e gli antimilitaristi trapanesi hanno ricordato che Trapani è una città in guerra, con il suo aeroporto in ostaggio della Nato e dal quale continuano a decollare i caccia bombardieri alla volta della Libia. Di qui la necessità di smilitarizzare al più presto lo scalo di Birgi per liberarsi dalle servitù militari che umiliano il territorio.
Davanti a una folla incuriosita e in alcuni casi solidale, i manifestanti hanno parlato di repressione e pacchetto-sicurezza, del bisogno di giustizia sociale e solidarietà per ricostruire una società fondata sulla libertà e l’uguaglianza, contro le frontiere, il razzismo e la guerra.
SABATO 23 LUGLIO
PRESIDIO DI CONTROINFORMAZIONE ANTIRAZZISTA
TRAPANI – P.ZZETTA SATURNO dalle 21,00
“Serraino Vulpitta”, Kinisia, Milo. Tre lager nella stessa città.
Questo è il triste primato che Trapani può vantare in questi mesi terribili scanditi dalla repressione e dalla guerra (…).
Leggi tutto l’appello qui:
http://coordinamentoperlapacetp.wordpress.com/2011/07/21/chiudere-i-c-i-e-aprire-le-frontiere/
Scendi in piazza con noi per esprimere la tua opposizione al razzismo e alla guerra!
Il 19 luglio del 1936 il popolo di Barcellona respinge il colpo di stato militare e fascista guidato da Francisco Franco.
In pochi giorni, milioni di persone in tutta la Spagna danno vita a una rivoluzione sociale basata sulla libertà, l’uguaglianza, l’autogestione. Una splendida storia destinata a interrompersi tragicamente ma che ancora oggi vive nelle lotte degli anarchici e dei libertari di ogni angolo del pianeta.
Segnaliamo con piacere una iniziativa dei compagni palermitani.
Mercoledi 20 luglio alle 18.30, nei locali del Circolo Libertario di Via Lungarini 23 a Palermo, si terrà un incontro-dibattito per ricordare il decimo anniversario dei fatti di Genova durante il vertice dei G8.
Gli anarchici racconteranno quella grande mobilitazione internazionale, la feroce repressione di piazza culminata nell’assassinio di Carlo Giuliani, la storia del Movimento antiglobalizzazione prima e dopo Genova.
Un incontro per ripercorrere quelle giornate, l’impegno degli anarchici in direzione di una radicalità e di un radicamento sociale delle lotte per un altro mondo possibile, ben al di là delle logiche di spettacolarizzazione e criminalizzazione che finirono col prendere il sopravvento a tutto vantaggio del potere costituito.
Interverranno Salvo Vaccaro della Federazione Anarchica Italiana, e Antonio Rampolla della Federazione Anarchica Siciliana.
Domenica 3 luglio, Val Susa. Un’altra pagina della nostra storia fatta delle mille storie individuali che si intrecciano e si moltiplicano.
Lo striscione dei bambini che apre il corteo, la banda che suona, gli striscioni, il popolo delle mille resistenze d’Italia che si mescola in un grande corteo. Così grande che le menzogne della Questura saranno più sfacciate del solito. Tanta gente con un unico grande obiettivo: stringere d’assedio il fortino costruito alla Maddalena dalle truppe di occupazione.
Chi ha spezzato le barricate della Libera Repubblica, chi ha voluto imporre con la forza militare il proprio dominio deve sapere che non potrà lavorare in pace, che verrà contrastato giorno dopo giorno dai No Tav, finché se ne andrà.
Il corteo si snoda per ore da Exilles lungo la statale e di lì in discesa in mezzo ai piloni dell’autostrada sino alla barriera di acciaio e filo spinato piazzata all’ingresso della salita verso la Maddalena, poco dopo la centrale idroelettrica. C’è anche lo spezzone rosso e nero dell’anarchismo sociale, dove in centinaia hanno risposto da tutt’Italia all’appello per la manifestazione, dividendosi tra il corteo e l’assedio dai tanti sentieri. Nei giorni precedenti in moltissime città avevano dato vita ad iniziative di solidarietà e sostegno alla lotta in Val Susa.
Quando il corteo arriva alla centrale molti No Tav si fermano nei boschi, mangiano e si preparano all’assedio, altri si dispongono lungo la strada che sale al paese di Chiomonte, altri ancora raggiungono il campo sportivo dove si conclude la parte di manifestazione cui hanno aderito anche sindaci ed amministratori.
Chi se la sentiva è sceso dai sentieri, gli altri hanno scelto la strada: ma la giornata è di tutti.
L’assedio va avanti per ore ed ore. I No Tav scendono dai sentieri e premono contro le reti. Scendono dalla Ramats, si affacciano da Giaglione, attraverso la via delle Gorge. Anche alla Centrale, una volta defluito il corteo dove tanti hanno scelto di portare i propri bambini, comincia la pressione contro le recinzioni.
In tanti hanno imparato la lezione impartita a suon di gas e manganellate durante l’attacco di polizia alla Libera Repubblica: chi si è comperato la maschera antigas, chi quelle semplici da ospedale, chi si limita ad un fazzoletto bagnato. Tutti hanno i limoni, le pastiglie di Malox da sciogliere, il ventolin. Caschi di tutte le fogge difendono il capo dei manifestanti: chi indossa quelli da cantiere, chi mette quelli da moto o da bici: gli alpinisti si distinguono per il materiale tecnico usato da chi arrampica. Nonostante le protezioni, al termine della giornata i feriti saranno tantissimi, impossibile contarli tutti, perché solo i più gravi vanno in
ospedale: gli altri vengono curati sul posto da medici e infermieri No Tav. Qualcuno va su con in faccia i segni dei colpi ricevuti la settimana precedente.
La baita dei resistenti, a margine del borgo Clarea, viene ripresa dal corteo partito da Giaglione e si trasforma in ospedale da campo.
I poliziotti diranno di aver avuto 200 feriti: una dottora del CTO, intervistata dal TG3 dichiarerà che tanti sono scivolati o sono vittima di malori da caldo e stress. Si fa davvero fatica a provare compassione per questi servi sciocchi e crudeli, ma chi ci riesce dimostra la diversa qualità morale che oppone i resistenti ai lanzichenecchi del governo.
L’assedio va avanti per ore ed ore: dalla mattina sino a sera. Chi si affaccia alle reti viene accolto da un fitto lancio di lacrimogeni CS, un’arma da guerra, che altrove è stata bandita dalle manifestazioni. I colpi spesso sono diretti sulle persone con effetti devastanti. I feriti
più gravi sono centrati da lacrimogeni sparati a distanza ravvicinata. Come se non bastasse poliziotti e carabinieri lanciano sassi: li tirano da dietro la recinzione, li scagliano dall’autostrada sui manifestanti che stanno sotto. Chi può si difende e tira a sua volta sassi. La lotta è impari, ma i resistenti non mollano. Sui fronti di Ramats, Giaglione e della Centrale i No Tav continuano per oltre sei ore il loro assedio. In un paio di punti la recinzione cede alla pressione. La polizia continua a gasare: i manifestanti arretrano ma poi tornano ad avanzare. La forza delle proprie ragioni è più tenace della ragioni della forza bruta.
Chi cade in mano alle truppe dello Stato viene offeso e torturato. Un ragazzo, con un braccio spezzato mentre cercava di difendere il capo dalle manganellate di una decina di energumeni che lo pestavano a terra, racconta di una giornata di umiliazioni e paura. Disteso su una barella continua ad essere colpito da calci e pugni: un colpo di spranga gli spezza il naso, è innaffiato da un bicchiere di orina. Ben tre ambulanze vengono mandate indietro: resta senza cure in una barella al sole per oltre tre ore.
Un carabiniere, anche lui scivolato e caduto in terra, viene abbandonato dai propri camerati: saranno i No Tav a riportarlo tra i suoi. Quattro manifestanti vengono arrestati e condotti nel carcere di Torino.
Maroni, i cui uomini hanno ferito, torturato ed offeso pretende che i resistenti siano accusati di tentato omicidio.
Durante le lunghe ore dell’assedio la gente che per età o per salute non ce la fa ad essere in mezzo ai boschi non si allontana, e sostiene con passione chi è in prima fila nell’assedio. Alla Baita i feriti sono accolti da applausi e urla di sostegno; dai curvoni che salgono a Chiomonte la gente grida forte quando arriva la notizia che una rete è saltata. Alcuni tentano anche una sortita dal fiume per dare man forte a chi resiste più in alto.
Il giorno successivo i giornali racconteranno un’altra storia, ripetendo un copione già scritto e usurato da anni: la litania della gente pacifica e dei cattivi Black Bloc, l’opposizione tra i tranquilli valligiani e i professionisti venuti da fuori. Politici e politicanti per un momento si illuderanno di poter finalmente spezzare il movimento, dividendo tra buoni e cattivi, tra pacifici e violenti. Ma si sbaglieranno.
Una comunità resistente, una comunità che si è reinventata tale sfuggendo alle trappole dei media, imparando a capire da se come stanno le cose, una comunità che tante volte ha assaggiato sulla propria pelle la violenza dello Stato, non si fa abbindolare tanto facilmente.
La gente dei boschi e quella della strada è la stessa gente, le stesse facce, la stessa storia fatta delle mille storie di ciascuno di noi.
Nella conferenza stampa indetta il giorno dopo a Chiomonte verrà detto forte e chiaro: nei boschi e sulle strade non c’erano Black Bloc, c’era una comunità resistente, che si è difesa dagli attacchi riuscendo a riprendersi la Baita e buttando giù, qua e là, la rete.
Sono passati dieci anni da Genova. Il sole estivo a tanti ricorda quell’altro luglio, quando il movimento contro la globalizzazione perse la sua grande occasione. Era il momento giusto per tessere a trama fitta fitta una rete solidale tra chi lotta per un mondo dove lucro, sfruttamento, disuguaglianza, comando scompaiano, divengano parole cancellate dal lessico comune, relegate tra i residui di un passato da dimenticare.
Un obiettivo importante che non si seppe centrare, perché chi si candidava al governo dell’opposizione, chi voleva far leva sui movimenti per costruire le proprie carriere politiche, chi parlava di municipalismo ma finiva con il candidare i propri uomini nelle liste di centro sinistra, non poteva permettere troppa autonomia ai movimenti.
Fecero male i propri conti, perché il vento stava cambiando in peggio: qualcuno raccattò una poltrona, altri restarono a mani vuote. D’altra parte i militanti più radicali nella pratica non seppero aprire interlocuzioni sui contenuti, oltre che sulla prassi. E la prassi, scissa
da una forte progettualità autogestionaria, non indica altro che se stessa. E in se stessa si esaurisce.
La criminalizzazione in questo contesto divenne sin troppo facile. I media inventarono favole cattive per tenere buoni ed obbedienti i bambini e troppi adulti pensarono che fossero vere. I buoni e i cattivi, chi era dentro e chi era fuori. La barriera di carta e menzogne di quel luglio divenne ben così alta e robusta che ancora oggi soffoca.
Le botte, i gas, le torture, gli insulti, gli inermi massacrati per le vie di Genova e nelle caserme degli uomini dello Stato quasi passavano in secondo piano. I cattivi in nero divennero l’alibi che quasi giustificò la violenza di polizia e carabinieri, la feroce repressione compiuta dal governo Berlusconi ma preparata dal governo D’Alema.
Ma Genova, dopo dieci anni non possiamo non riconoscerlo, era soprattutto un enorme palcoscenico. I potenti della terra riuniti in una città ridotta ad avamposto di frontiera tra uomini in armi e, intorno la folla eterogenea, molteplice venuta a rovinarne la festa, a mettere in luce la trama feroce di chi governa un mondo attraversato da ingiustizie intollerabili.
Poi venne l’11 settembre, la guerra permanente contro il terrorismo, e quel movimento piano piano si esaurì. L’opposizione alla guerra non seppe mai farsi movimento vero, capace di mettere in difficoltà chi bombardava in nome della democrazia. Quella guerra non è mai finita. Ed è anche nostra responsabilità non averla saputa fermare.
In questo luglio, tra i piloni dell’autostrada e i sentieri ripidi della montagna, dove la valle si stringe e dirupi si fanno scoscesi, abbiamo scritto un’altra storia.
Non per caso.
Vent’anni di lotta, di autogestione, di continuo interrogarsi sul come e il perché hanno dato i loro frutti. Un movimento che rifugge la violenza, perché la violenza è quella feroce degli Stati, degli eserciti, delle guerre, sa che quando si viene attaccati e invasi occorre difendersi.
L’etica della convinzione e quella della responsabilità si coniugano e raggiungono un felice equilibrio quando si radicano nella prassi quotidiana di un movimento fatto di tante anime e tante diverse sensibilità.
Le reti devono andare giù, la terra deve essere difesa. È una questione di dignità. Niente di tutto questo è legale, ma contro chi fa guerra, chi sfrutta, chi tortura, chi invade e ferisce, ribellarsi è sempre giusto.
Genova è lontana, lontanissima. Anche allora c’era chi scelse di fuggire lo spettacolo, mirando a coniugare radicalità e radicamento. Una scelta che oggi a dieci anni di distanza mostra tutta la propria forza.
Ci hanno intossicati di gas, ci hanno chiamati criminali, hanno riempito di fumo il chiarore del nostro luglio. Ma non è bastato a cancellare l’aria fresca di questo movimento.
L’assedio continua. Ogni giorno.
Maria Matteo
(Foto tratte da: http://facebook.com/leonardozanchi)
A due giorni dalla battaglia in Val Susa, forniamo alcuni elementi di conoscenza per diradare le nebbie della disinformazione sull’argomento.
In un incontro con i giornalisti, i Comitati NO TAV si sono assunti la piena responsabilità morale e politica dei fatti di domenica e confermano – alla faccia della criminalizzazione del movimento fomentata da politici e media – che quella contro il TAV è una lotta popolare, condivisa, e autorganizzata. Ecco l’articolo de La Stampa di Torino:
http://www3.lastampa.it/cronache/sezioni/articolo/lstp/410052/
Qui c’è un video che documenta il sostegno espresso dal corteo autorizzato nei confronti dei manifestanti che si erano appena avvicinati all’area occupata dalle forze dell’ordine:
http://www.youtube.com/watch?v=JbUTmQvzshQ
Una breve e interessante intervista ad Alberto Perino, uno dei portavoce del Movimento No Tav, rilasciata all’inizio del corteo:
http://www.youreporter.it/video_Val_di_Susa_-_3_luglio_2011_1
La denuncia delle violenze poliziesche e tante altre informazioni si possono trovare su: www.notav.info
Di seguito, i report in diretta di domenica pomeriggio (dalle 14 alle 17) a cura della Federazione Anarchica Torinese – FAI:
Aggiornamenti dalla Valsusa.
Lo spezzone anarchico sta partecipando alla manifestazione indetta dal Movimento No Tav e adesso si trova fermo davanti alla Centrale elettrica della Maddalena insieme a una moltitudine di persone.
A Giaglione, è stata riconquistata la baita e la bandiera No Tav ha ripreso a sventolare nel territorio della Libera Repubblica della Maddalena.
Si sono verificati duri scontri sui sentieri della Ramats: i manifestanti sono stati pesantemente gassati da molti lacrimogeni ma, nonostante questo, hanno sfondato la rete e resistono a pochi metri dal piazzale della Maddalena.
—
Continua, nonostante tutto, la battaglia alla Maddalena. La polizia spara lacrimogeni, la gente arretra e poi torna ad avanzare, continuamente.
Sotto, vicino la Centrale AM dove c’era l’ingresso alla Libera Repubblica della Maddalena e dove la polizia ha allestito una barricata, i manifestanti No Tav hanno sfondato. La polizia ha caricato con lacrimogeni e idranti, i manifestanti tengono duro e altri stanno sopraggiungendo.
—
Alla Maddalena si combatte. La polizia ha caricato con una ruspa in mezzo al bosco. Si sono dovuti fermare perché s’è incagliata. Sotto, il gas lacrimogeno alla Centrale elettrica è fortissimo e sta saturando l’aria.
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La baita di Giaglione è sotto il controllo dei No Tav, così come la zona sotto l’autostrada.
Moltissimi i lacrimogeni sparati dalle forze di polizia. Un principio d’incendio causato dai lacrimogeni nell’area della baita è stato spento sia dagli agenti, sia dai manifestanti No Tav. Quella zona è piena di gente.
Dalla parte di Ramats continuano gli scontri. Alla Centrale elettrica troppo gas nell’aria, ma c’è ancora qualcuno che resiste. La strada statale è bloccata. I manifestanti No tav che non hanno fisicamente preso parte agli scontri e che si trovano sulla strada che conduce dal ponte fino a Chiomonte, per tutto il tempo della battaglia, hanno seguito gli eventi battendo il guardrail continuamente, esultando a ogni avanzamento dei No Tav.
Questa è la risposta più chiara a chi sta cercando di dividere pretestuosamente il movimento No Tav in “buoni” e “cattivi”.
Il governo italiano aveva bisogno di un diversivo per far fronte alla sua profonda crisi di legittimità e consenso.
E così, tanto per mostrare i muscoli e distrarre l’opinione pubblica, è stato varato un decreto legge che torna a colpire ferocemente gli immigrati. Per questa rappresaglia sulla pelle dei più deboli, occorreva aggirare l’ostacolo del reato di clandestinità bocciato dalla corte di Giustizia Europea, e così è stato.
I punti salienti di questo nuovo provvedimento razzista consistono nell’espulsione coatta e immediata sia dei “clandestini”, sia dei cittadini europei considerati “pericolosi”. Per facilitare questa macchina delle deportazioni, si è pensato persino di rinnovare gli accordi italo-libici con il governo provvisorio di Bengasi, in perfetta continuità con le politiche intraprese fino a ieri con il dittatore Gheddafi. E poi viene prolungata la detenzione nei Centri di identificazione ed espulsione (CIE) da sei a diciotto mesi. In pratica, si potrà finire dietro le sbarre per un anno e mezzo senza aver commesso reati ma solo perché si è immigrati e senza il permesso di soggiorno. In particolare, l’accanimento nei confronti dei cittadini comunitari è un’evidente intimidazione nei confronti di zingari e rumeni, da sempre nel mirino dei razzisti di casa nostra.
D’altronde, questo governo ha risposto alle esigenze dei profughi del Nordafrica con la vergogna delle tendopoli (rigorosamente vietate ai giornalisti) che in alcuni casi – come a Santa Maria Capua Vetere – gli stessi immigrati hanno provveduto a distruggere. Qui da noi, a Kinisia, la tendopoli è tornata in funzione e viene adibita a CIE, mentre il nuovo super lager di Milo continua a crescere come una metastasi alla periferia della città.
Come dichiarato pochi giorni fa da Medici Senza Frontiere, a Kinisia «le persone dormono dentro delle tende e i servizi medici sono largamente insufficienti. Manca l’elettricità, le condizioni igieniche sono pessime e l’accesso all’acqua saltuario. Il solo fatto di essere in stato di fermo prolungato per essere entrati irregolarmente nel territorio italiano ha forti ripercussioni sulla salute mentale delle persone».
E sulla libertà e la dignità di tutte e tutti, aggiungiamo noi.
Gruppo Anarchico “Andrea Salsedo” – Trapani
20/06/2011